Il ciclo absidale di Aquileia (1019-1042) raggiunge i massimi livelli della pittura ottoniana; in esso dominano l'armonia delle forme e l'incisività descrittiva, sostanziata dal calligrafismo dei lineamenti cosí come dalle dita allungate e piegate, entrambi di ascendenza miniatoria carolingia.
Come livello di classicità siamo in una situazione analoga alla Madonna con Bambino di S. Sofia, che tuttavia rappresenta solo un breve episodio della Rinascenza medio-bizantina. Lo stesso livello accomuna la Madonna con Bambino nell'abside di S. Sofia a Costantinopoli con quella nell'abside aquileiese, incorniciata da una cornice a mandorla, simbolo di gloria. La riproposizione di quest'ultima un secolo e mezzo dopo, stavolta sulla volta della cripta, sintetizza il mutamento dei presupposti ottoniani sino alla maturazione del Romanico.
Accade che i moduli pittorici da libro miniato si carichino di rigore e di austerità, dovendo assolvere a coreografie monumentali, pedagogicamente rivolte all'universalità dei fedeli. Succede cosí che alterazioni anatomiche importanti, mentre nel Salterio di Winchester non turbano l'animo, suggerendo null'altro che una dimensione astratta, in scene rappresentate sui portali di Erfurt o di Basilea (seconda metà del XII secolo) funzionano da monito inquietante al pensiero dell'ultimo giorno, col conseguente giudizio divino. Rispondono coerentemente allo scopo le severe espressioni ipnotiche delle figure che vi compaiono.
A questa impostazione di base si aggiungono, specialmente in Centro-Europa e nella zona alpina, i repertori da Bestiario, che se mai ce ne fosse bisogno condiscono le opere figurate di ulteriore misteriosa soggezione. Tra i numerosi esiti al confine coll'animalesco, si veda una scena da S. Giacomo a Termeno (Alto Adige; fine del XII secolo).
La sommatoria di questi elementi a un certo punto incontra in area alto-adriatica la corrente medio-bizantina di seconda generazione, che in contesto occidentale non fa altro che ridare slancio alla maniera aulica registrata nell'abside della basilica patriarcale ad Aquileia. In tale ottica si riconosce all'istante la matrice nordica-alpina nelle Vergini stolte di Summaga, distinta geneticamente da quella aulica-ottoniana delle Vergini sagge (inizio del XIII secolo).
Ma è anche frequente assistere alla rilettura in chiave alto-adriatica di modelli iconografici, quali la burattinesca Lapidazione di Santo Stefano a Müstair (fine-inizio del XII secolo) (Alto Adige), ingentilita da quel sublime pittore-miniatore attivo a Muggia Vecchia (prima metà del XIII secolo), come pure scomposta e riattualizzata secondo fini caratterialmente più espressionistici nella scena di Condanna di San Giusto, nella basilica omonima a Trieste (primo quarto del XIII secolo).
In questa stessa scena s'infiltra all'estrema destra un individuo che non c'entra nulla col contesto, che colle sue mani portate a sorreggere il viso dovrebbe ispirare dolore e stupore. È un'ennesima contaminatio, nella contaminatio. L'iconografia si trova già replicata un paio di volte nel ciclo affrescato della cripta di Aquileia (ultimo quarto del XII secolo), nelle scene della Passione; ossia nella realtà più rappresentativa – assieme al battistero di S. Marco a Venezia – della pittura romanica in Alto Adriatico. Proprio l'area dei due patriarcati vede maturare al massimo livello di classicità la rappresentazione scenica volta al recupero dei fasti antichi senza rinunciare al naturale pathos espresso da figure libere di muoversi nello spazio, come appare nelle pur raggruppate donne piangenti da un frammento musivo marciano (1063-1094), riproposte in affresco nella Deposizione della cripta di Aquileia.